TRAUERARBEIT - Ninni Donato Artworks

NINNI DONATO
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trauerarbeit
testi di Serena Carbone



Prima
C'erano due fratelli che vivevano in un regno immaginario. Un giorno, chiamati in guerra dal Re, partirono per paesi lontani. Ritornati a casa, i giovani soldati a cui avevano promesso il mondo, il mondo lo portarono con sé, tutto compresso in una valigia piena di cartoline illustrate. Ed ecco il Colosseo,  le Piramidi, il Partenone, la Torre di Pisa, il Ponte di Westminster, ed ancora l'aereo, la locomotiva, l'automobile, l'aeroplano e poi la balena, il pinguino, il rinoceronte, la farfalla ed ancora e ancora. Lo sguardo che tutto osserva, sceglie e ritaglia, stava tracciando il primo Universo in formato tascabile.
Omaggio alla fotografia, questa sequenza tratta dal film Les Carabiniers di Godard  – ripresa poi dalla Sontag1 quando parla di “esperienza catturata” e di appropriazione “della cosa che si fotografa” - conserva, intatta nel tempo, tutta la poesia, la comicità sinistra e l'attualità del medium fotografico.
La valigia, il deposito di immagini, la cartolina illustrata, il viaggio, il prelievo, ma anche la memoria e il ricordo, il rapporto intimo e personale che lega lo sguardo di chi guarda a quello di chi è guardato in un unico rapporto dialettico, sono ancora oggi gli elementi portanti di un linguaggio in continua evoluzione e che probabilmente più di ogni altro ha rappresentato la fluida parabola delle arti del Novecento.

Dopo
Trauerarbeit, che in tedesco significa elaborazione del lutto, è un progetto di appropriazione “lecita” di immagini sottratte on line da un archivio americano. Le fotografie, scattate da membri anonimi dell'aviazione statunitense durante la seconda guerra mondiale, mostrano gli obiettivi sensibili a pochi minuti dallo sgancio delle bombe. Di una quiete disarmante appare il paesaggio costretto dentro il mirino, imprigionato in un destino che sta per compiersi.
Obiettivo della guerra aerea spesso erano intere zone industriali, l'esplosione, infatti, avrebbe così fatto morti anche tra i civili, compromettendo la forza lavoro disponibile. Uno sguardo a volo di uccello e, in un attimo, il particolare diviene generale, ogni gesto, rumore, pensiero si confonde nel boato assordante. Vittime e carnefici. Carnefici e vittime, non ci sono ruoli in guerra.   
Scrive l'autore che «nel suo significato letterale l’elaborazione del lutto consiste nel lavoro di rielaborazione emotiva dei significati, dei vissuti e dei processi sociali legati alla perdita dell’oggetto relazionale. Qui tale processo, non è più dramma personale ma di genere, passa attraverso lo “strato”, inteso quale distanza fisica ed emotiva. Essere su un aereo, distaccato dal suolo, impedisce di avere un rapporto diretto col dolore rendendolo di fatto ”accettabile”. Banalizzando, è lo stesso processo cui ci hanno abituato i media che sostituendo i termini ma non la sostanza, allontanano il ”danno collaterale” frapponendo uno schermo, tv o monitor, e depotenziano il dolore inserendolo in una realtà frazionata dall’inserto pubblicitario o dal gossip».

Durante
L'indagine causale, il prelievo dell'immagine, la manipolazione digitale, la contaminazione estetica con il colore, sono queste le fasi del progetto Trauerarbeit, che mette in atto un processo di conoscenza che diviene consapevolezza dell'uso del mezzo fotografico attraverso la storia. Al centro di questa dinamica la memoria, che ha depurato ormai il passato dalla sua esattezza, garantendone la trasmissione. Per cui anche se l'oggetto finale, dotato di una valenza estetico-formale, è dissimile all'origine, la fonte – documentata dallo scatto primo – può rimanere inalterata, ampliando invece i suoi significati. Piuttosto, si innesca un meccanismo “wikipediaco”, più avanti si va più caselle mnemoniche si aprono. Tasselli su tasselli che collegano l'è stato e l'adesso in un'unica immagine. La memoria collettiva si mixa alla memoria individuale che l'artista, secondo il proprio fare e il proprio vissuto, restituisce con la re-immissione in rete di un' immagine nuova che, dopo essere stata interpretata e manipolata, è pronta per essere “riciclata” ancora una volta.
Se l'appropriazione della “cosa fotografata” ai tempi di Godard, porta in sé il ricordo di un'esperienza vissuta che, come un esercizio di memoria, si rinnova ogni qual volta rientra in contatto con l'immagine-simulacro (riprendere in mano la fotografia di un viaggio fa rivivere le sensazioni e l'atmosfera vissute al momento dello scatto – sia che si tratti di foto amatoriale che d'autore), oggi il meccanismo di appropriazione di una non-realtà direttamente da internet, frammenta ancora di più i tempi e gli spazi, annulla l'esperienza sensibile, dando luogo ad un “metaspettacolo”, dove chiunque può essere protagonista, e “rubare” parti di scena per poi restituire o fuggire, disperdendo ciò che “è stato” nel marasma dell'oggi, in attesa che un occhio consapevole lo rimetta insieme. È un rebus ad incastro, uno spettacolo dello spettacolo. E' il cubo di Rubik, c'è solo una soluzione e quand'anche si trovi si può smontare e iniziare da capo. Cambia il soggetto, ma lo spettacolo continua.

Il Vortice
La rete è come “un rubinetto a domicilio di immagini” che sconvolge completamente le abitudini visive, scrive Cheroux2 . Ma non solo, egli va avanti nell'analisi dell'appropriazione delle immagini digitali e indica in internet un nuovo “linguaggio vernacolare”.  Del resto, non siamo nuovi alle invasioni di campo della tecnologia nelle arte visive, anzi ogni qual volta questo si è verificato, ha prodotto una maggiore accessibilità e veicolazione delle immagini stesse; e a ben vedere ad ogni “intromissione è seguita una “rivoluzione”: alla Galassia Guttemberg il Rinascimento, alla stampa fotomeccanica le avanguardie storiche, alla tv le neoavanguardie e soprattutto la video arte; ed oggi viviamo l'era di internet, di cui tra un paio di anni probabilmente avremmo ancora più chiara la portata.
Trauerarbeit sfrutta la diffusione orizzontale della rete, per appropriasi di un attimo che “balla con la morte”. Il medium fotografico, usato in maniera “sporca”, diviene il mezzo che collega l'uomo al suo “oggetto” relazionale per eccellenza, il passato. Ma Benjamin ci insegna che «articolare storicamente il passato non significa conoscerlo “proprio come è stato davvero”. Vuol dire impossessarsi di un ricordo così come balena in un attimo di pericolo...».


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